Ovunque sei.

Cesenatico, 2016

Anni passati a voler essere da un’altra parte.
Quando avevo la mia personale Copenhagen a pochi km da casa.

E, se ve lo steste chiedendo, Cesenatico è davvero così.
Senza trucchi e senza inganni.

A ricordarmi che le fantasie della me adolescente non erano che desideri di qualcosa che avesse il fascino del lontano e dell’esotico, fine a se stesso. Sognavo moltissimo la Svezia, soprattutto quando mi arrivò a casa il primo catalogo IKEA, nel lontano 2001. Lo conservo ancora oggi come fosse una reliquia, con quella copertina sbiadita che, di suo, era già intrisa di immacolato candore scandinavo.
Agli occhi di molti poteva essere una proposta di salotto tristissima, molto bianca e molto minimal; ai miei occhi era l’idea di un futuro moderno e luminoso, lontana da casa, da chiunque mi conoscesse.

Un futuro in cui sarei stata bella e felice: con il lavoro X, la casa Y, il marito Ciccio Pasticcio e cani/gatti/bambini in un numero variabile.
Un futuro in cui guardando fuori dalla finestra del mio ufficio open space al sesto piano di un grattacielo di Stoccolma avrei provato un senso di pace e serenità. Un futuro in cui, una volta tornata a casa, avrei lavorato al mio Mac su una scrivania di betulla, seduta sulla mia poltrona HATTEFJÄLL sorseggiando un caffè nero mentre un peloso gatto bianco mi passava tra le caviglie.

Cosa c’è di diverso oggi?
Praticamente tutto, tranne la voglia di sognare che è rimasta, e la consapevolezza che nessun luogo e nessuna poltrona svedese possono darmi la felicità che bramo.

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