
Di cose strane me ne piacciono parecchie.
Che poi, parlandone in giro, scopro che così tanto strane non sono.
Come, ad esempio, incantarsi di fronte alle navi che entrano ed escono dal porto.
Osservarle col naso all’insù.
Ascoltare il fruscio silenzioso del loro corpo enorme che taglia l’acqua come un paio di forbici lungo un drappo di seta.
Le navi hanno questo potere magico che, credo, lo notiate anche voi: ci regalano l’idea di un luogo esotico e sperduto.
Non fraintendetemi: non parlo di crociere.
Parlo di qualsiasi nave, barca, gommone, yacht o zattera.
Perché il mare è, nel nostro immaginario, sinonimo di viaggio, movimento, libertà.
Vi chiederete a questo punto perché io abbia così a cuore questo tema del “fuggire altrove”: me lo chiedo anche io, più o meno da 15 anni.
Da quando passavo le ultime ore del lunedì mattina a scuola a guardare fuori dalla finestra e a sognare altri mondi.
Non so se lo sapete ma lo scrittore Emilio Salgari (con cui condivido lo stesso giorno di nascita), scrisse Le tigri di Mompracem (Sandokan vi dice niente?) non muovendosi praticamente mai dall’Italia, come vi racconta Wikipedia: Nella sua vita Salgari fu un “viaggiatore virtuale”[12]: il creatore della Tigre di Mompracem[13] viaggiò pochissimo, ma fu un “divoratore di atlanti e dizionari”, grazie ai quali inventò più di 1.300 personaggi, basando ogni suo libro su scrupolosi approfondimenti, e scontrandosi con gli editori dell’epoca a causa di gravi problemi economici[14].
Come si fa a non ammirare uno scrittore che senza muoversi dalla poltrona è riuscito a documentarsi così accuratamente da poter scrivere pagine e pagine di storie affascinanti tenendo incollati milioni di lettori in tutto il mondo?
E in conclusione, per citarlo:
Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.

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