
Ognuno di noi ha la propria buona e sana abitudine. Ne basta una, una sola a farci sentire leggermente meglio, un po’ più a posto con la coscienza.
Magari siete di quelli che bevono litri di acqua, oppure leggono un libro al mese, o vanno in palestra tre volte a settimana.
Io ho deciso di camminare.
Perché di rinunciare all’alcool non ne ho voglia, ad allenarmi ci provo (mi riesce una volta a settimana massimo) e mi addormento puntualmente su ognuno dei quattro libri che ho iniziato.
Dicevamo: le buone abitudini.
La mia è quindi camminare quando posso; in pausa pranzo (oltre a scrivere, mangiare di fretta e guardare la Signora in Giallo) oppure dopo il lavoro.
Fortuna vuole che abiti in una zona molto ricca di verde e casette da osservare con occhio analitico come fossi un’agente immobiliare.
E quando cammino, spesso, succede una cosa strana.
Mi è capitata giusto qualche giorno fa, mentre fotografavo una casa abbandonata. Mi sono arrivate in testa delle storie, dei nomi.
Delle vite vissute. Delle sensazioni. Delle emozioni.
Mi sono arrivate storie di persone mai esistite o perfettamente reali, non lo so di preciso. Ho pensato: fichissimo, sento le voci (senza l’ausilio di stupefacenti vari).
Invece poi ci ho riflettuto e ho preso atto che la mia buona abitudine non poteva essere “normale”; non potevo camminare con la musica o telefonare al commercialista come fanno tutti, no.
Nella mia testa si sono palesati dei veri e propri episodi di vita da scrivere, come succedeva quando ero più giovane, e sono felice che sia tornato a essere così.
Fin da piccola, infatti, mi incantavo come un’ebete a immaginare storie; mentre guardavo dal finestrino dell’auto o quando il prof. di italiano spiegava la seconda guerra mondiale e io fissavo il parcheggio fuori dal mio liceo, immaginando gli avvenimenti che potevano capitare a ognuna delle persone che lo attraversavano.
Una signora anziana in bici con delle grosse buste verdi di plastica che arrancava a ogni pedalata: era andata a fare la spesa al mercato per i nipoti che sarebbero stati a cena da lei. Le buste erano stracolme di verdure per fare un minestrone e già immaginava la faccia schifata del più piccolo, Niccolò, quando gli avrebbe messo davanti il piatto pieno di carote, sedano e quant’altro. Mentre lui sognava solo l’ovetto Kinder di fine cena. E, soprattutto, la sorpresa contenuta fra quel burroso cioccolato.
Oppure:
Una signora bionda col trench rosso e una bella borsa nera, di pelle, che si infila nella sua station wagon: chissà quanto ci avrebbe messo in quell’udienza sull’affidamento dei figli dell’ultima coppia che si era rivolta a lei in studio. Ma quei due le stavano simpatici in fondo, le sembravano brave persone; la donna era grande amica di sua cugina e l’avvocata si sentiva in dovere di impegnarsi più del solito.
E così via.
[Piccolo inciso: la foto qui utilizzata per questo post non ha nessun tipo di legame con questa mia nuova abitudine. Tuttavia mi sembrava bello ricordare a tutti che l’Abruzzo è una regione strepitosa e molto sottovalutata: fra le varie cose è una delle poche regioni d’Italia nella quale potete sciare guardando il mare. Il mare, dico. Sciando. Io ve l’ho detto].
Concludo dicendo che: qualsiasi sia la vostra buona abitudine del momento, ricordatevi che dargli uno strano andazzo la renderà ancora più divertente e soddisfacente.
Ma di questo potremmo parlarne ancora…
Se vuoi leggere subito, ogni volta che scrivo una cosa nuova: